mercoledì 11 novembre 2009

QUALCHE INFORMAZIONE SUL CANTO DI ULISSE

Il canto XXVI dell'Inferno, più noto come il Canto di Ulisse, vede i due pellegrini, Dante e Virgilio, nell’ottava bolgia, laddove si trovano i consiglieri fraudolenti, i quali, come pena, vagano avvolti da una fiamma appuntita a forma di lingua. Il contrappasso si può così sintetizzare: così come in vita suscitarono coi loro consigli liti e sventure, così ora sono avvolti in una fiamma e, poichè turbarono la pace e il riposo altrui, vanno vagando per la bolgia senza riposo.
Il canto può essere diviso in quattro momenti importanti.
Il primo coincide con l'invettiva di Dante nei confronti della sua Firenze. "Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande...": così esordisce il poeta, esortando la città, con amara ironia, a rallegrarsi per la sua grandezza, visto che il suo nome si diffonde per mare e per terra e perfino all'Inferno; in più le predice prossime sventure che verranno da Prato e da altre città, augurandosi con dolore di vederle quanto prima compiute.
Nel secondo, Dante e Virgilio, risalendo una parete rocciosa, giungono in un punto da cui possono scorgere il fondo dell'ottava bolgia, nella quale si trovano i consiglieri fraudolenti. Il poeta fiorentino, vedendoli, ripensa che essi hanno fatto "pessimo uso del loro ingegno" e perciò è indotto a tenere a freno più del solito il suo ingegno, "largitogli dalle stelle e dalla Grazia divina", affinchè sia sempre guidato dalla virtù e non ne rimanga privo per colpa propria. Nel fondo della bolgia si aggirano molte fiammelle, ciascuna delle quali nasconde alla vista il peccatore condannato.
Quindi, nel terzo momento, sono le figure di Ulisse e Diomede a dominare il quadro. Dante, tra tutte le fiamme, ne scorge una con due punte e chiede a Virgilio, stranito, chi è punito lì dentro. Il Maestro risponde che vi stanno Ulisse e Diomede, che "subiscono insieme la vendetta di Dio, così come in vita ne affrontarono insieme l'ira, espiando l'insidia del cavallo di legno" usato per espugnare Troia, l'artificio con cui Achille è stato strappato all'amata Deidamia e il rapimento del Palladio. Dante, incuriosito, vuol parlare ai due spiriti, ma Virgilio lo invita ad astenersi e di lasciarlo parlare, perchè essi, essendo greci, non si degnerebbero di rispondergli, appartenendo ad un'altra civiltà.
Il quarto momento del canto è occupato dal racconto dell'ultimo viaggio e della fine di Ulisse. Virgilio, non appena la fiamma si avvicina, invita le anime, in nome dei versi ad essi dedicati nell'Eneide, a non muoversi e chiede a Ulisse di narrare della sua morte. Dopo la sosta presso la maga Circe, nè l'affetto per il figlio, nè la pietà per il vecchio padre, nè l'amore per la moglie Penelope hanno potuto trattenerlo dal desiderio incontenibile di esplorare il Mediterraneo occidentale fino alle colonne d’Ercole, limite del mondo conoscibile che l'uomo non dovrebbe oltrepassare. Qui giunto, si rivolge ai fedeli compagni per invitarli a seguirlo, ricordando loro "l'alta missione dell'uomo sulla terra, che è quella di praticare la virtù e di apprendere la scienza". Il discorso infiamma a tal punto i membri dell’equipaggio che i remi parvero trasformarsi in ali e la nave volare sulla superficie dell’oceano inesplorato. Cinque mesi dopo il passaggio attraverso lo stretto di Gibilterra, una montagna altissima appare all’orizzonte: la gioia per questa visione si tramuta in dolore perchè da quella terra si scatena un turbine, che gira la nave per tre volte nel vortice delle onde; l'imbarcazione si inabissa nel mare, il quale poi si chiude sopra di essa.

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