Presso il Cortile delle Statue dell'Università degli Studi di Pavia, nella terza serata del Festival dei Saperi, inserita nel ciclo di interventi "Lessico civile", ieri sera ho avuto il piacere di ascoltare la conversazione tra Vittorio Grevi, ordinario di Procedura Penale presso la medesima università, e Gherardo Colombo, ex magistrato e autore del volume "Sulle regole", presentato nel corso della serata.
Il senso di questo incontro, e più in generale del ciclo di incontri dal nome "Lessico civile", sta nel tenere sempre vivi i principi che presiedono alla convivenza dei cittadini. E parlare di legalità, come hanno fatto Grevi e Colombo, certo ha aiutato ad analizzare e a tenere a mente che senza regole e senza il rispetto delle stesse, non ci è possibile vivere.
La serata si è aperta, in un Cortile delle Statue affollato in qualsiasi angolo, con la presentazione di Gherardo Colombo e un approfondimento sul perché egli ha deciso di uscire dalla magistratura a metà febbraio del 2007, dopo oltre trentatré anni. Per spiegare i motivi di tale decisione, l'ex pm ha usato la metafora dell'idraulico, che, chiamato nell'abitazione di un condominio dal momento che non esce acqua dai rubinetti, comincia ad analizzarne le cause; dopo aver controllato il rubinetto e le tubature domestiche, entrambi integri, pensa che forse vi è un problema a livello del rubinetto centrale del palazzo e lo controlla: scopre che in effetti il problema risiede proprio lì e, dopo averlo risolto, verifica che in casa l'acqua fuoriesce nuovamente dal rubinetto. In questo esempio, il rubinetto della cucina rappresenta l'amministrazione della giustizia, mentre il rubinetto centrale rappresenta "qualcosa che sta prima" della giustizia stessa: è per questo motivo che Colombo si è convinto pian piano che "perché la giustizia cambi, sarebbe stato utile intensificare quel che già cercavo di fare nei momenti lasciati liberi dalla professione: girare per scuole, università, parrocchie, circoli e in qualunque altro posto mi invitassero a dialogare sul tema delle regole. La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall'incomunicabilità" (parole tratte dall'introduzione al suo libro Sulle regole).
Dopo questa spiegazione, che Colombo riteneva doverosa per far comprendere il senso del suo libro, definito scherzosamente, ma non troppo, da Grevi "breviario laico di educazione civica", vengono introdotti i temi della prima parte del libro: la neutralità di termini come "regola", "legge", "legalità", "il cui significato può variare indefinitamente in base al contenuto che esprimono", potendo essere diversi in rapporto al momento storico e al Paese e spesso anche in contraddizione tra loro; l'ambiguità del termine "giustizia", usata per definire sia un principio sia il sistema creato "per risolvere le controversie" tra gli esseri umani e in nome della quale, nel corso della storia, sono stati compiuti rivoluzioni e genocidi; da dove deriva il diritto: inizialmente derivava dalla divinità, poi si è cominciato a parlare di diritto naturale, basandosi sul presupposto che "ogni essere umano avesse dentro di sé, fin dalla nascita, alcuni principi fondamentali comuni a tutti gli altri", poi si è parlato di diritto positivo, ossia il diritto è giusto quando è stato prodotto da istituzioni delegate a farlo ed è osservato; quindi la svolta recente: il passaggio da "sudditi" a "cittadini", grazie alla separazione dei poteri, "presupposto per la creazione (...) di una società in cui diritti e doveri siano distribuiti equamente".
Si passa così a parlare della seconda parte del libro, la più intensa dal punto di vista del ragionamento logico, la quale affronta il tema delle due società: la società orizzontale, nella quale l'uomo è al centro, costituisce un "valore", una "dignità", si basa "sull’idea che l’umanità si promuova attraverso un percorso armonico in cui la collaborazione di ciascuno (…) contribuisce all’emancipazione dei singoli e al progredire della società nel suo insieme"; la società verticale, quella che ha dominato gran parte, se non tutta la storia, vede l’uomo come strumento, si basa sulla gerarchia, “scartando gli inadeguati”, e i suoi valori fondanti sono la separazione e l’annientamento. Tuttavia – sostiene Colombo – “può darsi che una società sia organizzata nel suo complesso in modo verticale, eppure in parte viga il sistema dell’orizzontalità”. L’osservanza delle leggi viene garantita in modo solo parzialmente diverso nei due sistemi: nella società verticale “la sanzione deve (…) consistere in un male” e quindi sono previsti la pena di morte e il carcere; quest’ultimo, anche se in teoria incompatibile con la società orizzontale (come la pena di morte), viene utilizzato nella stessa per punire l’inosservanza di molte norme. L’ex pm sostiene che il fatto che il carcere sia la principale risposta alla violazione delle leggi non deriva solo “dalla tradizionale equivalenza tra sanzione, da un lato, ed esclusione e sofferenza, dall’altro”, ma anche dal contributo della Chiesa (ad esempio, l’Indice dei libri proibiti, che è in fondo una forma di esclusione).
Il discorso intrapreso nella seconda parte - sottolinea Grevi - è propedeutico all'illustrazione di un modello di società orizzontale, quello contenuto nella nostra Carta costituzionale, come Colombo fa nella terza parte del suo libro. Il salto compiuto nei secoli per giungere a questo risultato è notevole: se un tempo giustizia voleva dire "riconoscimento e tutela delle diseguaglianze" (basti pensare ai tempi della schiavitù), oggi giustizia è "riconoscimento e tutela delle pari opportunità". E, infatti, i due principi cardine della Costituzione, da cui discende tutto il resto, sono: il riconoscimento dei diritti e l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.
Uscendo fuori dai temi strettamente trattati nel libro, ma muovendosi sempre nel campo della legalità, il professor Grevi chiede un parere a Colombo riguardo un eventuale cambiamento dell'azione penale, passando dall'essere obbligatoria all'essere discrezionale: così, sostiene Grevi, il magistrato potrebbe decidere sua sponte quali reati perseguire e quali persone indagare per quei reati, venendo meno ai principi di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E Colombo risponde sostenendo che l'obbligatorietà dell'azione penale è fondamentale per mantenere la separazione dei poteri: in caso contrario, il magistrato sarebbe costretto a rispondere dei propri atti e perderebbe perciò la sua indipendenza.
Riguardo un altro tema caldissimo, le intercettazioni telefoniche, Colombo afferma che, secondo lui, l'uso è attualmente eccessivo, mentre si tratta di uno strumento da utilizzare con estrema cautela, solo per quei reati che effettivamente offendono la comunità e, soprattutto, non come "scorciatoia", a scapito, cioè, di altri strumenti d'indagine, magari anche più funzionali. E' poi importante difendere la riservatezza degli intercettati; la pubblicazione dei colloqui dimostra che noi tutti vogliamo che le regole siano rispettate, ma quando siamo chiamati a farlo in prima persona ci tiriamo indietro: "ciascuno per sé é l'ultimo giudice".
Grevi conclude questa conversazione domandando quanto la cultura influenza il diritto: la sua personale opinione è che il diritto deve essere più forte e deve indirizzare la cultura, senza farsi sopraffare. Colombo, come si è evinto dal botta e risposta, crede il contrario: la mentalità o i comportamenti generali sono più forti e in grado pertanto di influenzare le regole e il loro rispetto. Ha fatto l'esempio di Tangentopoli: quindici anni fa c'era indignazione nei confronti di coloro che si macchiavano di reati di corruzione, oggi c'è molto meno sconvolgimento e malumore perché la gente si è quasi abituata, prevale un atteggiamento giustificazionista, il quale é in grado di influenzare la legge.
La conversazione si è chiusa così, seguito da alcune domande del pubblico. Inutile dire (credo si sia capito) che esso sarebbe potuto continuare per altre ore, non so quante: dalla passione dei due conversatori, é emerso chiaramente come il tema sia complicato, pieno di mille sfumature e perciò difficile da condensare in due ore.
Il senso di questo incontro, e più in generale del ciclo di incontri dal nome "Lessico civile", sta nel tenere sempre vivi i principi che presiedono alla convivenza dei cittadini. E parlare di legalità, come hanno fatto Grevi e Colombo, certo ha aiutato ad analizzare e a tenere a mente che senza regole e senza il rispetto delle stesse, non ci è possibile vivere.
La serata si è aperta, in un Cortile delle Statue affollato in qualsiasi angolo, con la presentazione di Gherardo Colombo e un approfondimento sul perché egli ha deciso di uscire dalla magistratura a metà febbraio del 2007, dopo oltre trentatré anni. Per spiegare i motivi di tale decisione, l'ex pm ha usato la metafora dell'idraulico, che, chiamato nell'abitazione di un condominio dal momento che non esce acqua dai rubinetti, comincia ad analizzarne le cause; dopo aver controllato il rubinetto e le tubature domestiche, entrambi integri, pensa che forse vi è un problema a livello del rubinetto centrale del palazzo e lo controlla: scopre che in effetti il problema risiede proprio lì e, dopo averlo risolto, verifica che in casa l'acqua fuoriesce nuovamente dal rubinetto. In questo esempio, il rubinetto della cucina rappresenta l'amministrazione della giustizia, mentre il rubinetto centrale rappresenta "qualcosa che sta prima" della giustizia stessa: è per questo motivo che Colombo si è convinto pian piano che "perché la giustizia cambi, sarebbe stato utile intensificare quel che già cercavo di fare nei momenti lasciati liberi dalla professione: girare per scuole, università, parrocchie, circoli e in qualunque altro posto mi invitassero a dialogare sul tema delle regole. La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall'incomunicabilità" (parole tratte dall'introduzione al suo libro Sulle regole).
Dopo questa spiegazione, che Colombo riteneva doverosa per far comprendere il senso del suo libro, definito scherzosamente, ma non troppo, da Grevi "breviario laico di educazione civica", vengono introdotti i temi della prima parte del libro: la neutralità di termini come "regola", "legge", "legalità", "il cui significato può variare indefinitamente in base al contenuto che esprimono", potendo essere diversi in rapporto al momento storico e al Paese e spesso anche in contraddizione tra loro; l'ambiguità del termine "giustizia", usata per definire sia un principio sia il sistema creato "per risolvere le controversie" tra gli esseri umani e in nome della quale, nel corso della storia, sono stati compiuti rivoluzioni e genocidi; da dove deriva il diritto: inizialmente derivava dalla divinità, poi si è cominciato a parlare di diritto naturale, basandosi sul presupposto che "ogni essere umano avesse dentro di sé, fin dalla nascita, alcuni principi fondamentali comuni a tutti gli altri", poi si è parlato di diritto positivo, ossia il diritto è giusto quando è stato prodotto da istituzioni delegate a farlo ed è osservato; quindi la svolta recente: il passaggio da "sudditi" a "cittadini", grazie alla separazione dei poteri, "presupposto per la creazione (...) di una società in cui diritti e doveri siano distribuiti equamente".
Si passa così a parlare della seconda parte del libro, la più intensa dal punto di vista del ragionamento logico, la quale affronta il tema delle due società: la società orizzontale, nella quale l'uomo è al centro, costituisce un "valore", una "dignità", si basa "sull’idea che l’umanità si promuova attraverso un percorso armonico in cui la collaborazione di ciascuno (…) contribuisce all’emancipazione dei singoli e al progredire della società nel suo insieme"; la società verticale, quella che ha dominato gran parte, se non tutta la storia, vede l’uomo come strumento, si basa sulla gerarchia, “scartando gli inadeguati”, e i suoi valori fondanti sono la separazione e l’annientamento. Tuttavia – sostiene Colombo – “può darsi che una società sia organizzata nel suo complesso in modo verticale, eppure in parte viga il sistema dell’orizzontalità”. L’osservanza delle leggi viene garantita in modo solo parzialmente diverso nei due sistemi: nella società verticale “la sanzione deve (…) consistere in un male” e quindi sono previsti la pena di morte e il carcere; quest’ultimo, anche se in teoria incompatibile con la società orizzontale (come la pena di morte), viene utilizzato nella stessa per punire l’inosservanza di molte norme. L’ex pm sostiene che il fatto che il carcere sia la principale risposta alla violazione delle leggi non deriva solo “dalla tradizionale equivalenza tra sanzione, da un lato, ed esclusione e sofferenza, dall’altro”, ma anche dal contributo della Chiesa (ad esempio, l’Indice dei libri proibiti, che è in fondo una forma di esclusione).
Il discorso intrapreso nella seconda parte - sottolinea Grevi - è propedeutico all'illustrazione di un modello di società orizzontale, quello contenuto nella nostra Carta costituzionale, come Colombo fa nella terza parte del suo libro. Il salto compiuto nei secoli per giungere a questo risultato è notevole: se un tempo giustizia voleva dire "riconoscimento e tutela delle diseguaglianze" (basti pensare ai tempi della schiavitù), oggi giustizia è "riconoscimento e tutela delle pari opportunità". E, infatti, i due principi cardine della Costituzione, da cui discende tutto il resto, sono: il riconoscimento dei diritti e l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.
Uscendo fuori dai temi strettamente trattati nel libro, ma muovendosi sempre nel campo della legalità, il professor Grevi chiede un parere a Colombo riguardo un eventuale cambiamento dell'azione penale, passando dall'essere obbligatoria all'essere discrezionale: così, sostiene Grevi, il magistrato potrebbe decidere sua sponte quali reati perseguire e quali persone indagare per quei reati, venendo meno ai principi di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E Colombo risponde sostenendo che l'obbligatorietà dell'azione penale è fondamentale per mantenere la separazione dei poteri: in caso contrario, il magistrato sarebbe costretto a rispondere dei propri atti e perderebbe perciò la sua indipendenza.
Riguardo un altro tema caldissimo, le intercettazioni telefoniche, Colombo afferma che, secondo lui, l'uso è attualmente eccessivo, mentre si tratta di uno strumento da utilizzare con estrema cautela, solo per quei reati che effettivamente offendono la comunità e, soprattutto, non come "scorciatoia", a scapito, cioè, di altri strumenti d'indagine, magari anche più funzionali. E' poi importante difendere la riservatezza degli intercettati; la pubblicazione dei colloqui dimostra che noi tutti vogliamo che le regole siano rispettate, ma quando siamo chiamati a farlo in prima persona ci tiriamo indietro: "ciascuno per sé é l'ultimo giudice".
Grevi conclude questa conversazione domandando quanto la cultura influenza il diritto: la sua personale opinione è che il diritto deve essere più forte e deve indirizzare la cultura, senza farsi sopraffare. Colombo, come si è evinto dal botta e risposta, crede il contrario: la mentalità o i comportamenti generali sono più forti e in grado pertanto di influenzare le regole e il loro rispetto. Ha fatto l'esempio di Tangentopoli: quindici anni fa c'era indignazione nei confronti di coloro che si macchiavano di reati di corruzione, oggi c'è molto meno sconvolgimento e malumore perché la gente si è quasi abituata, prevale un atteggiamento giustificazionista, il quale é in grado di influenzare la legge.
La conversazione si è chiusa così, seguito da alcune domande del pubblico. Inutile dire (credo si sia capito) che esso sarebbe potuto continuare per altre ore, non so quante: dalla passione dei due conversatori, é emerso chiaramente come il tema sia complicato, pieno di mille sfumature e perciò difficile da condensare in due ore.
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Aldo Bonaventura
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