Una nostra amica, Nunzia Santomauro, appassionata di Mozart e frequentante il conservatorio, ci propone un'analisi musicale del Requiem.
Mozart, ossessionato dall’idea della morte o, meglio, ossessionato dall’idea di una morte predestinata, compone l’Introitus nel quale l’andamento sincopato infonde un senso di inquietudine, di angoscia: il discorso è ansimante, è tutto un susseguirsi di sospiri e singhiozzi musicali. I tromboni sono la rappresentazione delle voci del giudizio universale e con questa funzione ritorneranno più volte nel corso della composizione. Ad un tratto, la musica incalza e si apre al coro. Prima le voci maschili, poi quelle femminili arpeggiano e danzano su quell'unica, immensa frase che terrorizza ed opprime il compositore: "Requiem aeternam dona eis, Domine" "Eterno riposo dona a loro, Signore". Il tema è semplice ma ricchissimo. Le parti del coro lottano per stapparsi di bocca la melodia, quasi avessero fretta di esaurirla. Ma Mozart non vuole morire e la sua lotta emerge chiara nelle successive battute: "Et lux perpetua luceat eis" "Risplenda su di loro la Luce Perpetua", parole da cui emerge la speranza, la convinzione di un'Eterna pace, di un aspettato ed infinito riposo. La conclusione è spettacolare! Un urlo, uno strillo di rabbia esplode nell'aria. Un urlo ossessivo e folle che si esaurisce lentamente in un sussurrato e melanconico "luceat eis". Si apre così il "Kyrie", uno dei pezzi più famosi della storia della musica. Il coro domina per tutta la durata del brano, quasi le voci si contendessero l'onore e il dovere di elevare ai cieli la loro preghiera: "Signore, Pietà! Cristo, Pietà! Signore, Pietà!". Tre minuti di autentica devozione, di totale abbandono a Dio. Questa fuga dà l'impressione di essere senza sosta: i temi compaiono con frequenza quasi ossessiva e sembra proprio che essi possano arrivare in qualsiasi momento e da ogni parte. Emerge uno stato d'animo di umanità colpevole che sente incombere il terribile giudizio divino (il Dies Irae che segue, appunto).
A questo punto però, comincia le vera corsa contro la morte. Il "Dies irae" è rapido e apocalittico. Si leggono tracce di inquietudine e di paura, sferzate di violenza e di ira, frammenti intensi di agonia. I violini aggrediscono letteralmente l'ultimo accordo, soli, senza timpani o ottoni a definire la conclusione. Possiamo immaginare che questo è il brano che Mozart patisce più di tutti. La sua gara con la morte, infatti, è impari. Non riesce ad essere rapido quanto vorrebbe: sei episodi della Sequentia erano completati nelle parti vocali ma le parti strumentali erano solamente abbozzate. Riesce a disegnare una folgorante visione di Dio nell'immenso "Rex tremendae", ma non lo conclude. Nel "Lacrimosa" il compositore riesce, attraverso l'utilizzo di brevi frasi di crome ascendenti e discendenti assegnate ai violini contornate da una scrittura corale di ampio respiro, a creare un effetto di pianto a stento trattenuto, di preghiera umile e devota con un “Amen” conclusivo in forte che esprime tutto il fervore religioso dell'autore; questo brano è un commovente lamento che le circostanze biografiche del compositore hanno trasformato nel suo congedo dal mondo: il “Lacrimosa” viene infatti interrotto all’ottava battuta così come i brani "Domine Jesu Christe" e "Hostias" che prospettano soltanto una vaga traccia generale della melodia; "Sanctus", "Benedictus" e "Agnus Dei" non verranno mai composti.
In verità, Mozart non riuscì a mai vincere la sua corsa contro la morte ma riuscì a creare la più grande testimonianza di musica sacra della storia dell'uomo. La terrificante trasfigurazione della Morte, l'accecante potenza di Dio si fondono in un canto misterioso, arcano, che si eleva fino al cielo con soave naturalezza. In fondo la morte è la vera e unica amica dell'uomo, dirà lui stesso. Nonostante la musica ricordi per concezione e impostazione le messe funebri della tradizione, la creatività assoluta traccia le basi di una dimensione musicale tutta nuova, che rispecchia fino in fondo il sentimento del compositore e riflette un rapporto diretto, uno scontro audace tra Dio e l'uomo. Questa è la vera natura del Requiem: farsi portavoce del richiamo insito in ogni creatura di fronte alla morte, di fronte all'ombra. Un canto di preghiera e di speranza che accomuna tutte le genti, le razze, le nazionalità, le lingue e i popoli verso una realtà da cui nessuno può sfuggire. Una realtà che raggiunge tutte le cose. Una realtà che ci accomuna tutti come "uomini".